La Granduchessa e il convento che sa di buono
© Photo by Anna Caramagno - All rights reserved.Convento Marfo-Mariinsky Марфо-Мариинская обитель милосердия. |
Ci sono tante chiese e conventi a Mosca, si sa. I viaggiatori che arrivavano qui dall'Europa nei secoli scorsi, rimanevano impressionati dalla quantitá di cupole e cupolette dorate che svettavano fra le case. Non sono facili da dimenticare questi colori sgargianti, le architetture ardite ed allegre come torte nuziali, tondeggianti e spumose come cupcakes glassate, ma di mattoni.
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Ne ho viste tante, sparse qua e lá, come coriandoli colorati, in varie zone della cittá ma questo, il convento Marfo-Mariinsky (dedicato a due sante Maria e Marta), li batte tutti. E non per splendore, ma al contrario, per sobrietá e delicatezza. Sará che é stato fondato da una donna, per di piu' Granduchessa, parente stretta dello zar, Elizabeta Feodorovna Romanova.
Il gusto femminile c'é. Piante sui davanzali dentro la chiesa, alle finestre, fiori dipinti sulle colonne, racemi di foglie e fiori sul soffitto, il tutto nei tenui toni del blu e dell' azzurro.
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La titolata e ricca nobildonna, alla dipartita del suo illustre consorte, ucciso in un attentato nel 1905, inconsolabile vedova, anziché continuare a sperperare il suo congruo patrimonio in feste e festini dell'alta societá, decise di investire in beni spirituali anziché temporali, abbandonò il bel mondo della corte, per ritirarsi in convento, però costruito da sé, tutto suo.
Le sostanze d'altronde le aveva. Se nel 1909 erano solo in 6, nel 1918 erano giá diventate una ottantina, fanciulle orfane e vedove, dai 21 ai 40 anni. Una super attiva comunità femminile che si occupava ed offriva vari servizi : ospedale, infermeria, alloggi per pellegrini, libreria, assistenza per donne povere e bambini, con un'attenzione in più per quelli meno fortunati. Un luogo speciale insomma, con un programma speciale, per bambini speciali.
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Nel bel giardino, curatissimo, che é un' oasi di verde e silenzio, gli unici rumori sono urletti e schiamazzi infantili nel parco giochi adiacente. Porte aperte per tutti : vi accolgono panchine, prati, alberi di tigli, frescura, pace, tanti fiori, ortensie, gigli e rose mignon- magari per una pausa relax dagli uffici dei dintorni.
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La chiesa, al centro di questo luogo ameno, è di un bianco accecante, ha forme morbide sinuose, pure quelle femminili, ispirata ai canoni del gusto neo-medievale russo, molto in voga ai primi del '900. Per una Romanov venne scomodato nientemento che Alexey Schushev, a cui, giusto per far capire, è intitolato il Museo di Architettura di Mosca.Formelle scolpite in pietra, portali e pannelli riprendono volute, riccioli, motivi ornamentali e simbolici medievali, tutto uscito dallo scalpello sapiente di Pavel Korin.
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Dentro, con pashmina serica bianca in testa, mi aggiro fra gli spazi e contemplo questa osmosi di interno - esterno. Anche qui motivi floreali, che incorniciano le volte, ricoprono le iconostasi lignee, si ritrovano sui candelabri in ottone e i portaceri dorati.
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Pochissima gente.Una suora anziana cammina sbilenca. Mi siedo sulle panche laterali . Qualche fedele bacia le icone, mentre una giovane, con grembiulino e babbucce nere felpate, é sempre pronta a disinfettare subito il vetro. Alzo gli occhi : mi guardano dall' alto i magnifici dipinti di Mikhail Nesterov, anche quelli sobri, senza stridori. Nulla che turbi questa morbida quiete.
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La Granduchessa fece una brutta fine. Uccisa dai bolscevichi, come i suoi piú famosi consanguinei, ora é lí fuori, scolpita in pietra bianca e occhi attenti a controllare bonariamente un po' tutto. La saluto, senza chinarmi ad angolo retto, come usa qui, ma con un sorriso. Grazie Elizaveta per tutta questa energia sí, che sa di buono
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